SEMPRE PIÙ
NUMEROSE LE CORRISPONDENZE
TRA ARITMETICA E SCENA
Questa matematica è un vero spettacolo
La scienza sembra rivelarsi
il più conveniente palcoscenico per ospitare un'azione
drammatica contemporanea, o almeno così ha concluso Luca
Ronconi, portando lo spettacolo «Infinities»
dell'astrofisico inglese John Barrow al Piccolo
Teatro di Milano. «Tuttavia - spiega Ronconi - perché il
linguaggio della scienza possa sviluppare tutto il suo potere
eversivo e innovativo, ritengo sia necessario che venga fedelmente
trascritto in scena, evitando ogni filtro esplicativo. In altre
parole per progettare uno spettacolo "scientifico", si deve
rinunciare alla strategia politicamente corretta della divulgazione
e piuttosto puntare sulla natura squisitamente esoterica della
raffinatissima scienza specialistica odierna». […] Sulla
divulgazione ha puntato invece «Padre Saccheri»
di Maria Rosa Menzio, che
il Laboratorio Teatro Settimo (Teatro Stabile d’Innovazione)
ha messo in scena a Torino. Un dramma storico che
intende far conoscere un grande matematico italiano del `700,
un gesuita che aprì la strada alle geometrie non euclidee.
Scrivere un'opera che coinvolgesse il pubblico, una commedia
con molti elementi romanzeschi come la ballerina dai capelli
rossi, il patto con il diavolo, l'Inquisizione e poi come deus
ex machina la sua domestica che gli offre lo spunto di ipotizzare
una realtà geometrica nuova.
RAFFAELLA SILIPO - “La
Stampa”, Aprile 2002
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MANGIARE IL MONDO
Abbiamo creduto, per un poco,
che facesse capolino sui palcoscenici d’Italia una giovane
e nuova drammaturgia. Ora che ha fatto le sue prove, ci siamo
accorti che aveva il fiato corto. Era, a ben guardare, una drammaturgia
di riflesso, che traeva occasioni e modelli dalla scena statunitense,
all’insegna di certo minimalismo realistico, tra Mamet
e Shepard, si parva licet. |
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Ci
sembra bello, indipendentemente dalla resa espressiva, che si
potrà valutare caso per caso, con i necessari distinguo,
che altri oggi si provino in direzioni opposte: e che tra costoro
non facciano difetto le donne. Maria Rosa Menzio, in questo
Mangiare il mondo, va proprio per una sua <<diversa>>
strada. Parte da un lato realistico, e terribile: la malattia.
Nella fattispecie, una delle più terribili malattie del
nostro tempo: l’anoressia. Ma non compie l'errore di invischiarsi,
come una pronipote del professor Lombroso, nella minuziosa trascrizione
post-positivistica del morbo. Abbiamo ormai tanti bravi giovani
medici per farlo: e tante belle riviste scientifiche, e tanti
bei concorsi per docente universitario e/o primario ospedaliero.
La Menzio della malattia sfrutta solo la premessa: la reclusione
ospedaliera, l’inevitabile assistenza monacale, il soffocante
placcaggio terapeutico. Ma poi divaga e svaria, inoltrandosi,
con l’aria di non parere, nel rarefatto limbo dei sogni.
Giacché Mangiare il mondo è, in effetti, un <<prontuario
di visioni>>. Come Freud, cent’anni fa esatti, ci
ha spiegato, col libro che tutti sappiamo, (nel senso proprio,
giacché nutre da allora, e poderosamente, il nostro sapere)
l’universo dei sogni è prepotentemente organico
e d’una coerenza assoluta, nella sua logica costruttiva.
Così, quello di Sibilla non è un itinerario labirintico.
Ha la sua brava partenza nello scacco di un familieuroman distruttivo
(ma forse sarebbe il caso di definirlo <<divorante>>),
con tanto di un brutale dissidio coniugale dagli esiti adulterino-omicidi.
E poi, per intervalla insaniae, ha le sue regolari tappe lirico-evocative:
la cronaca spicciola di un amore troppo facile (Battistello),
la romanzesca evocazione di sé come donna fatale (Tizio),
e come eroina (il Generale), sino ad approdare a quella che
è, senza dubbio, la <<trasferta>> onirica
più originale e suggestiva: l’Amore (Impossibile)
con i Gemelli Siamesi. Sulla simbologia dei Gemelli sono state
scritte non solo voci molto pertinenti, ma vere e proprie monografie.
E non è chi non ravvisi, nella loro specularità
e identità, molto stringenti allusioni all’affascinante
tema del Doppio (siamo uno, ma vorremmo essere quel Due, che
è noi stessi, ma anche l’Altro da noi) Sibilla,
tutta felice, quell’amore a tre lo vive – invece
– come Possibile: non solo ne trae ripetuto sollazzo (fuori
scena, perché appunto ob-scaenus), ma vi attinge l’intera
pienezza concessa al suo sesso: è amante-madre, è
Venere e Démetra, che dal seno possente lascia traspirare,
sicut mel ac ambrosia, il latteo siero. E’ comprensibile,
anzi è giusto, che se lieto fine (in sogno) ha da esserci,
questo venga celebrato, per l’appunto, con i Gemelli in
questione. E’ per Sibilla l’uscita dalla malattia?
Cederemmo, proprio nell’epilogo, al ricatto del professor
Lombroso se ci ostinassimo a rispondere a questa domanda. Ricordiamoci,
invece, di Shakespeare: <<giacché noi non siamo
fatti d’altro che della materia dei sogni…>>
GUIDO DAVICO BONINO
Il testo teatrale di Maria
Rosa Menzio è percorso da un senso di desperatio che
trova nella traduzione simbolica una sua determinazione assai
efficace. Il testo intreccia il filo della vicenda reale con
un piano di deformazione grottesca e surreale che proietta il
problema della protagonista sul fondale metafisico dell’eterna
lotta del bene contro il male, della dialettica senza conciliazione
tra desiderio e infelicità. Il problema della protagonista,
il suo disturbo psichico, l’anoressia, diventa lo specchio
deformante di una patologia del sociale, sia esso il recinto
familiare o il perimetro delle amicizie o delle relazioni più
allargate. L’anoressia ci viene qui presentata come un
momento di concentrazione simbolica di una più generale
condizione di impasse comunicativa; da essa si liberano i fantasmi
di cui la protagonista Sibilla ci rende partecipi e sgomenti.
Perché la traduzione drammatica di questa vicenda produce
in chi la legge, ma certamente ancora di più in chi assiste
alla sua rappresentazione scenica, un impatto emotivo di grande
forza e spessore. La ragione di questa efficacia drammatica
risiede nel sapiente dosaggio tra realismo e grottesco, tra
mimesi dell’inquietudine e dell’angoscia che si
cela nelle pieghe dell’ordinario quotidiano e ricerca
della figura simbolica idonea a tradurre tale condizione esistenziale.
Questa linea in equilibrio tra mito ed esistenza mi sembra una
scommessa riuscita, e non solo sul piano della fruizione letteraria
ma anche su quello della sua resa drammaturgia.
ROBERTO GILODI
Un amore eccezionale verso
due gemelli siamesi, un amore così forte da esser causa
di prodigi, come la bella invenzione letteraria di Sibilla che
dà latte dai seni ogni volta che fa all’amore…
La sensualità della protagonista si esprime attraverso
due luoghi, non simbolico ma reali: cibo e amore, golosi banchetti
e sesso sfrenato da un lato, e dall’altro digiuno e astinenza.
RICHI FERRERO
Sibilla è anoressica.
L’anoressia come rifiuto di un degrado sofferto: “Non
mangiare più nulla di questo antico mondo in putrefazione
[…] smettere di mangiare, smettere di parlare, leggere,
dormire”. Perché è un cibo che non nutre
più.
In questa operazione la Menzio non batte vie facili sia dal
punto di vista drammaturgico che scenografico, di allestimento
possibile. Beckett? Io direi Bunuel
Sì, c’è il cinema, quella tecnica di montaggio,
a scompaginare il normale progress crono-logico dell’azione,
conferendo un andamento sincopato al dramma, che non siamo abituati
a vedere sui palcoscenici. E c’è il lavoro “teatrale”
della Menzio, l’attenzione sperimentale, la non casuale
ricerca di un suo linguaggio, che sia pure nuovo. Scusatemi
se è poco.
FOLCO PORTINARI
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PADRE SACCHERI
[…] Un vero testo pensato per un teatro la cui modernità
non esclude più i tratti e la misura della tradizione
classica. Si parla dell’inevitabile lotta tra luce e buio
della coscienza, del rapporto tra la ricerca intellettuale e
l’irrazionalità dell’amore. In questo dramma
c’è vita e c’è intelligenza, c’è
la ragione e il suo scacco. La commedia, opera dai forti contrasti,
è caratterizzata da una spiccata teatralità…
corrispondente è il dialogo, sempre teso pur se mutevole
nei toni e nelle atmosfere, mai rallentato da monologhi o argomentazioni
complesse.
GUIDO FERRARO
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Nella complessa
analisi della personalità di Saccheri svolta nel dramma
trova posto inevitabilmente il ruolo della ricerca matematica.
L’autrice finge che le idee delle geometrie non-euclidee
siano proposte dal buon senso della simpatica e socratica figura
della Domestica. Saccheri è indeciso e contraddittorio,
combattuto tra la dedizione alla logica, il senso confuso di
una realtà matematica, il desiderio di gloria e la sottomissione
all’autorità. Alla fine deve ammettere il tradimento
più grande e imperdonabile, quello di non avere avuto
il coraggio della propria ragione. […] Con pochi tratti
ben distribuiti, M. R. Menzio colloca la figura di Saccheri
nel posto che in effetti gli spetta, all’origine del turbamento
e dell’incertezza della tormentata scienza moderna.
GABRIELE LOLLI
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FIBONACCI (LA RICERCA)
Un’opera sorprendente:
parla del grande matematico italiano Fibonacci (vero nome Leonardo
Pisano) che introdusse in Europa le cifre arabe e lo zero, detto
in arabo Zaffiro. Certamente un argomento del tutto insolito.
La linea drammaturgia, svolta in due atti, ha un andamento essenziale
attraverso un serrato dialogo fra due ricercatori, un lui e
una lei, che giocano a immaginarsi di essere rispettivamente
Fibonacci e una misteriosa donna araba conosciuta dal nostro
scienziato in Algeria, affascinante avventura nel deserto che
gli permise di scoprire le armonie numeriche nascoste nella
natura. Tutto questo immaginato con dati scientifici ed elementi
romantici, tra suggestive magie, enigmi matematici e richiami
ambientali. Un intreccio ricco di interrogativi e scoperte,
pieni di fascinazione. Lodevole che l’autrice si sia ricordata
di Fibonacci, occasione di scoperta e di riflessione per un
teatro che dimostra di avere interessi del tutto insoliti, e
di averne affrontato con coraggio un momento basilare di conoscenza
della scienza matematica in Occidente.
COMMENTO DELLA GIURIA DEL PREMIO "FONDI-LA PASTORA", Roma, 2003
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Il
grande matematico pisano Fibonacci introdusse in Europa le cifre
arabe e lo zero, detto in arabo Zaffiro. Il titolo (la ricerca)
ha un duplice significato: da una parte il lavoro che i due
ricercatori svolgono, ai nostri giorni, per scrivere un articolo
scientifico su Fibonacci; dall’altra parte la ricerca
che (800 anni prima) Fibonacci stesso fa partendo da Pisa, diretto
in Algeria per ritrovare una misteriosa donna: Zaffira. Fra
lo studio dei numeri di Fibonacci e la spiegazione di che cos’è
la sezione aurea, sta la figura di quest’affascinante
donna araba: la tessitrice dell’arazzo del passato e del
futuro. Ella sostiene il matematico in un’avventura nel
deserto, e lo aiuta a scoprire le armonie numeriche nascoste
nella natura. Ma la sua identità sarà svelata
solo alla fine del primo atto, e a causa di equivoci che portano
a sviluppi drammatici (dall’incesto alla follia) ella
scomparirà a fine testo, con un atto di magia.
FRANCO PASTRONE
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SENZA FINE
“Senza fine” di
Maria Rosa Menzio, matematica e scrittrice di teatro, è
un testo poetico e visionario che ha come filo conduttore il
tempo: l’inesorabile scorrere dell’esistenza individuale
verso la sua fine e la ciclicità del tempo cosmico, la
linea-freccia e il cerchio, la morte e l’umano desiderio
di immortalità, eternità extratemporale o perpetuazione
attraverso la generazione, la scrittura, la memoria. Nomi di
fisici e di matematici - Newton, Cantor, Gödel - si mescolano
a citazioni di poeti, da Tasso, a Dante, a Brodskij, in una
fitta trama intessuta anche di riferimenti filosofici, spesso
non esplicitati ma evidenti. Tra questi Eraclito, Cusano, Nietzsche
(il più presente — mi pare: dal serpente di Zarathustra
che divora se stesso alla storia come infinita serie di maschere).
Ovviamente non bisognerà cercare qui dimostrazioni filosofiche
e scientifiche ma aprirsi a suggestioni, stimoli, interrogazioni,
in un caleidoscopio mentale fortemente evocativo.
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Non ultimo motivo di interesse
è che il personaggio che ritorna in varie figure e reincarnazioni
storiche e letterarie è Ipazia, matematica e filosofa
neoplatonica assassinata da fanatici cristiani intorno al 415
ad Alessandria d’Egitto. Mulier taceat in ecclesia, dice
una voce iniziale. Ma Ipazia, messa violentemente a tacere,
riprende la parola e ci ripropone in questo testo, dilatandosi
in molteplici tempi storici, paradossi e questioni sul tempo,
ai diversi modi in cui può essere pensato e vissuto.
CESARE PIANCIOLA
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IL MULINO
SELEZIONATO A "SCIENCE ON STAGE" E PER TORINO CAPITALE NEL 2006
Ispirato al monumentale trattato di Santillana
e Dechend, il “Mulino” è un testo poetico
e visionario il cui nocciolo duro è il fenomeno della
precessione degli equinozi. “Le cose sono numeri.
Dice Pitagora. E nasce la matematica. I pianeti sono dei. Nasce
l’astronomia.”
Ventiseimila anni devono passare perché di
notte in cielo si vedano le stesse costellazioni: ecco il grande
orologio naturale che segna le Età del Mondo. |
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“Il
Maestro di Danza esegue nuovi passi e crea l’Orsa Maggiore.
Eccolo! Arriva il Tempo della Musica: ha il passo di un re.
[…] L’anno solare e l’ottava dominano il
mondo. Il Numero e il Tempo, il tempo che corre con sette redini
e mille occhi e sette ruote, e l’asse è l’Immortalità”
S’intersecano storia delle religioni, riti, mitologia,
astronomia, e soprattutto un insieme di simboli per spiegare
l’origine del Tempo.
“Il re volto-di-sole e la luna si sono congiunti…
Ma nel giardino incantato c’è un serpente, un demonio
tentatore, vecchio di anni infiniti. Ecco si compie il peccato
originale. Qui inizia la Storia, inizia il Tempo. Comincia l’avventura”
Sono presenti tutti i simboli che nel corso della storia hanno
connotato i pianeti con i rispettivi segni zodiacali. E il tutto
è condito con la sacralità della storia quotidiana.
“Gli uomini sono le lacrime di Dio, soltanto i Re nacquero
dal suo sorriso. Gli dei sono pianeti, le
stelle animali. Le nostre dimore sono santuari,
con la Dea del Silenzio e il Dio dei Costruttori." |
INCHIESTA ASSURDA
SU CARDANO
Il testo teatrale di Maria Rosa Menzio
“Inchiesta assurda su Cardano” mi ha fatto capire
che la matematica è una materia umanistica!
COMMENTO DELLA GIURIA DEL PREMIO "PORTVENERE TEATRO DONNA", 2005
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BOCCARDI
PREMIO "CREATIVE CULTURE 2010"
Prima assoluta 3 Ottobre 2009 Pino Torinese, Planetario
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OMAR
Selezionato da ULISSE.SISSA (2007)
Prima assoluta 16 Dicembre 2011 Torino, Santuario di San Giuseppe dei Padri Camilliani
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L'ORO BIANCO DI DRESDA
Spettacolo premiato con Medaglia del Presidente della Repubblica nel 2014
Prima assoluta 4 Ottobre 2014 Santena (TO), Castello Cavour
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Spazio Tempo Numeri e Stelle
L’utopia è
il motore di ogni scoperta di Federica IACOBELLI
La matematica e drammaturga
Maria Rosa Menzio raccoglie le sue pièce visionarie tra
la scienza e il teatro. Il Teatro e la Scienza, maiuscoli entrambi,
sono presenze fortissime in un testo che salutiamo come un dono,
raro e prezioso. Maria Rosa Menzio, matematica, filosofa della
scienza, regista e autrice teatrale, non ha solo messo in scena
scienziati, di ieri e di oggi. Maria Rosa Menzio ha scritto
dei piccoli capolavori, intensi e ironici, altissimi e umili,
in cui l’emozione compare al fianco del pensiero, stimolo
non meno nobile e non meno intenso alla ricerca, e l’utopia
è di nuovo una possibilità, luogo per eccellenza
della mente umana, motore della scoperta più di ogni
legge e di ogni trattato.
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La straordinarietà
dei testi raccolti in questo volume consiste poi nella loro
diversità: le voci, tutte le voci, si intrecciano ma
non si sovrappongono, non si confondono, spesso reinventate
ma sempre vere e vivaci, guizzanti, mai didascaliche. In questo
modo, l’astronoma ellenistica Ipazia può sembrare
veggente come Fibonacci e Saccheri, matematici incompresi dal
loro tempo, mentre commuove lo slancio della mente di Boccardi,
direttore dell’Osservatorio astronomico di Torino all’inizio
del Novecento, protagonista dll’unico testo, tra quelli
proposti, a non avere avuto ancora una messa in scena. Perché,
se Maria Rosa Menzio ha potuto scrivere e creare queste raffinate
e appassionanti pièce tra spazio e tempo, tra numeri
e stelle, è anche merito di chi l’ha sostenuta
dentro e fuori alla scena, dal grande editore, a registi, attori,
studiosi e critici, fino ad ApritiCielo, il nuovo Museo dell’Astronomia
di Pino Torinese, dove anche Boccardi avrà la sua anteprima.
** Maria Rosa Menzio, Spazio, tempo, numeri e stelle, Bollati
Boringhieri, 2005, € 14
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Tigri e Teoremi
Scrivere teatro e scienza
Meraviglia delle meraviglie di Michele EMMER
La scienza emoziona, sorprende, rende euforici
o depressi, come qualsiasi altra arte.
Così come opera il teatro. E allora si potrebbe subito
concluderne: la scienza e il teatro, ma certo! Nulla di più
ovvio! Tuttavia, ci sarà un motivo per cui non così
spesso si parla di scienza in scena. Il problema del linguaggio,
quello della scena, quello della scienza. Difficili e semplici
entrambi, quando coinvolgono. E le metafore della scienza
e del teatro, e le illusioni e i sogni, tutto e’
sogno, si fanno vorticosi, trascinanti. Non è
così semplice, scrivere di scienza per il teatro. O
fare teatro parlando di scienza. Che né il teatro né
la scienza sono semplici, come vorrebbero farci credere
ai giorni nostri. Tutto è semplice, tutto è
allegria e semplicità, tutti possono comprendere tutto
e parlare e scrivere di tutto. Non è così. La
difficoltà del mestiere di fare teatro,
teatro sulla scienza, o scienza e teatro.
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Di questo parla il libro di Maria
Rosa Menzio. Certo della difficoltà ma anche
della voglia, della eccitazione di scrivere di scienza e teatro.
Di vedere in scena, di sentire le parole, cogliere i momenti,
le emozioni. Teatrali e scientifiche. Non solo perchè
anche le loro esistenze, degli scienziati, sono costellate
di amori, suicidi, omicidi, duelli, follie. Ma perchè
quando si parla di scienza, si parla di verità.
La scienza, il teatro è fatica, sudore, e lacrime.
Come la vita, peraltro. Si tratta di professionalità,
del contrario della improvvisazione. E della professionalità
di coloro che scrivono per il teatro, che scrivono per la
scienza, di questo parla il libro. Scrive Popper; “base
della possibilità di far scienza è la dote di
provare meraviglia”. E non deve meravigliare
che un ruolo importante giochi la matematica, regno della
libertà. E di nuovo torna l’entusiasmo, ma unito
alla professionalità, alla voglia di apprendere le
regole, di comprenderle, di riuscire a renderle in linguaggio
teatrale e scientifico.
Non basta avere a che fare con argomenti interessanti, emozionanti
se non interviene un’emozione di tipo scenico, teatrale,
un linguaggio più snello soprattutto.
La scommessa è che la scienza ha tutti gli elementi
necessari per essere un animale da teatro. La possibilità
di rendere spettacolare la scienza anche per i profani.
Storie di scienza raccontate con linguaggio teatrale, vicende
che ti lasciano col fiato sospeso.
Novità, pensiero e bellezza insieme. Diceva Musil che
nella matematica è l’essenza dello spirito.Tanti
sono gli esempi di letteratura, di teatro di cui parla il
libro. E tanti sono gli argomenti scientifici. Con un intento
Socratico, pedagogico nel senso alto del termine.
Che tutti provino l’emozione di scrivere di scienza
per il teatro, di scienza a teatro.
** Maria Rosa Menzio, Tigri e Teoremi
(Scrivere Teatro e Scienza), Springer, 2007, € 19,95
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Le stelle ad una ad una
Scienza: un gioco di magia e amore da 0 a 99 anni
di Gabriele Druetta ("The Philosophers")
Da quando in terza elementare mi hanno "costretto", se così posso dire, a studiare la Scienza, ho sempre
sentito parlare di scienziati come Galileo, che andava in giro a guardare le stelle col suo cannocchiale,
Newton che, poverino, ogni volta che si sedeva sotto un albero gli cadeva una mela in testa, Archimede,
che tutto il giorno rimaneva a mollo in acqua, e così molti altri.
Crescendo ho imparato che Galileo col suo cannocchiale aveva rivoluzionato il mondo, Newton formulato la
caduta dei gravi e che Archimede non stava solo al mare a prendersi il Sole, ma aveva scoperto come i corpi
possono galleggiare in un liquido.
Così per molti anni ho creduto che la scienza fosse solo razionalità, calcoli, regole, teoremi, dimostrazioni.
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La mia "Rivoluzione Copernicana", se così si può dire, è avvenuta grazie a quattro testi teatrali, contenuti
nel volume "Le stelle ad una ad una" di Maria Rosa Menzio (Teatro e Scienza), pubblicato per "C'era una volta edizioni" (Roma, 2017).
Quattro storie, apparentemente molto diverse: il racconto romanzato della vita di Omar al Khayyam
(astronomo, matematico e poeta di Baghdàd, (1048 - 1131) e del rapporto con la sua donna, così sapiente
da conoscere i misteri della "Carovana dell'Est", metafora del futuro e del progresso; la corrispondenza tra
Galileo (1564, Pisa - 1642, Arcetri) e la figlia Suor Maria Celeste, la quale lo difenderà nonostante il padre
scienziato non l'abbia lasciata libera di sposarsi e di vivere la vita che avrebbe sempre sognato;
l'esposizione di alcuni miti antichi per narrare la precessione degli equinozi scoperta dall'astronomo,
astrologo e geografo Ipparco (190 a.C., Nicea - 120 a.C., Rodi); infine la storia tra il passato rinascimentale e
il presente della relazione d'amore tra Cardano, Tartaglia (entrambi matematici) e la sorella di quest'ultimo
Bianca.
Questi quattro testi teatrali, con i quali Maria Rosa Menzio ha potuto vincere numerosi premi, avere grandi
riconoscimenti e partecipare a importanti rappresentazioni, apparentemente non hanno nulla in comune
tra loro, a parte il fatto che i protagonisti sono tutti grandi matematici e astronomi.
Però è possibile trovare un denominatore comune, come scrive l'autrice stessa: l'emozione. Questa
emozione si può leggere nell'amore verso la scienza, nell'amore tra lo scienziato e la sua donna (Omar),
nell'amore della figlia verso il padre (Carteggio Celeste) o del fratello verso la sorella e della sorella verso
l'amico del fratello, che a sua volta prova attrazione verso il fratello della donna che lo ama (Inchiesta
assurda su Cardano). Infine la magia sembra essere fondamentale per la scienza: nella storia di Omar
esistono tappeti volanti, ne "Il Mulino" i personaggi sono legati alle tradizioni degli oracoli, all'astronomia, alle
religioni e ai miti, nell'"Inchiesta assurda su Cardano" tutta l'azione si svolge tra la realtà e la visione di un
passato attraverso la mediazione di una seduta spiritica.
Forse, grazie a questi testi, per qualche ora sono tornato a quando in terza elementare credevo ai grandi
scienziati come uomini così grandi che era impossibile che fossero esistiti per davvero, o meglio, forse sono
vissuti sì, ma per sempre nell'attimo stesso della scoperta che li ha resi celebri.
Cresciuto, mi sono imbattuto in una raccolta di testi teatrali che mi ha spiegato che dietro ad ogni
scienziato c'è un uomo, un uomo vero, in carne ed ossa, con le sue gioie e i suoi dolori. Ho imparato che la
Scienza è fatta di persone come me, ma ho anche scoperto che questa Scienza è come un grande gioco
adatto a tutti, soprattutto alle persone più curiose.
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Il Progetto "Teatro e Scienza" e il volume "Le stelle ad una ad una"
di Piero Galeotti (Dipartimento di Fisica Università di Torino)
"Teatro e Scienza", ideato e sviluppato da Maria Rosa Menzio, laureata in Matematica, è un progetto molto
ambizioso e attivo da ormai molti anni di divulgazione della scienza mediante spettacoli teatrali. In questo volume,
"Le stelle ad una ad una", sono raccolti 4 testi su argomenti scientifici che potrebbero svilupparsi in altrettante
rappresentazioni teatrali in quanto l'intervento di alcuni personaggi e il dialogo tra essi ci rimanda subito ad
una possibile scenografia teatrale. Si tratta infatti di tre testi riguardanti altrettanti famosi scienziati e
di un quarto testo dedicato ad argomenti della nostra storia.
I tre scienziati protagonisti di quest'opera teatrale sono Omar al Khayyam, Girolamo Cardano e Galileo Galilei,
il primo vissuto nell'XI secolo, il secondo nel XV secolo e il terzo nel XVI secolo. Si tratta di tre famosi
scienziati che hanno contribuito allo sviluppo delle nostre conoscenze in diversi rami del sapere e non solo
in quello scientifico, così che possono ritenersi rappresentativi di quella cultura poliedrica del Rinascimento.
Khayyam matematico, filosofo e poeta persiano, tra le altre cose, aveva fondato un Osservatorio Astronomico per
studiare il moto dei corpi celesti. Da questi studi ottenne un calendario non solo più preciso di quello giuliano,
allora in uso, ma anche di quello gregoriano formulato solo in un'epoca più recente.
Anche Cardano era un personaggio eclettico, anche lui un uomo del Rinascimento con molti interessi: aveva
studiato diritto ma si era poi laureato in medicina. Si dedicava a studi di matematica e applicazioni tecniche (il giunto cardanico
è in uso ancora ora) oltre che alla teoria dei giochi e alla chiromanzia per risolvere i suoi frequenti problemi
di soldi conseguenti alla sua vita avventurosa.
Galileo, come noto il padre del metodo sperimentale che è alla base della scienza moderna e inventore del
cannocchiale il cui utilizzo lo portò a scoprire i satelliti di Giove, le macchie solari e la natura stellare
della Via Lattea, in questo libro viene descritto attraverso gli occhi della figlia Maria Celeste. Suora in un
convento vicino ad Arcetri, Celeste accudiva il padre Galileo e lo aiutava nelle sue serate dedicate alle
osservazioni astronomiche nel periodo in cui egli era agli "arresti domiciliari" in seguito alla condanna del
Santo Uffizio.
In conclusione, il libro non solo è di piacevole lettura ma offre anche interessanti considerazioni sulla vita
e le opere di questi famosi personaggi. In attesa di poter assistere alle future rappresentazioni teatrali di
questi tre scienziati, che certamente metteranno in risalto i loro rispettivi pregi e difetti, possiamo iniziare
a conoscerli meglio con l'aiuto del libro di Maria Rosa Menzio.
** Maria Rosa Menzio, LE STELLE AD UNA AD UNA, Edizioni C1V, Roma 2017, € 13,00
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La Terza Mela
la Scienza va a Teatro
di Fulvio Cavallucci ("Teatro e Scienza")
Il volume di Menzio segue una sua logica che va da una introduzione alla
"terza cultura", all'analisi (addirittura) di 170 romanzi, alle meraviglie della seconda
cultura dove si scopre cos'è la "spaghettificazione", le varietà di infiniti, la vita
strabiliante dei muoni... per arrivare alla "cesura tra le due culture" cominciata all'incirca
tra la fine del Rinascimento e la fine del Settecento.
Il viaggio prosegue poi con i frattali, la "dimensione frattale", mai intera, e con i numeri
irrazionali che portarono scompiglio nella Scuola di Pitagora dove per "numero" si intendevano
gli interi e le frazioni.
Anche l'Arte c'entra eccome nella "terza cultura": pensate che Felice Casorati pittore
aveva un antenato omonimo, matematico a Pavia.
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Leggendo qua e là scopriamo che:
- Galileo Galilei è uno dei più grandi scrittori italiani (lo affermò Italo Calvino e,
se analizziamo con attenzione gli scritti di Galileo, non possiamo che essere d'accordo);
- Isaac Newton praticava l'alchimia e Girolamo Cardano campava facendo oroscopi;
- "Il Malato Immaginario" di Moliere inizia con un divertentissimo monologo denso di
operazioni aritmetiche;
- tra "I turbamenti del giovane Torless" di Robert Musil sembra esserci addirittura
l'unità immaginaria "i", proprio lei, la radice quadrata di -1;
- un solido di rotazione chiamato "Anfora di Zeus", noto anche come "Tromba di Torricelli"
si scopre avere volume finito ma superficie infinita, ovvero la quantità, ad esempio,
di vernice che può contenere è determinata ma quella necessaria a verniciare l'esterno no:
perciò, se iniziassimo tale operazione, non finiremmo mai!
** Maria Rosa Menzio, LA TERZA MELA, Edizioni Hoepli, Milano 2019, € 12,90
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Rubina negli abissi
Prefazione di Piera Levi-Montalcini
Maria Rosa Menzio ed io abbiamo una mission in comune: quella di far amare la scienza ai bambini
fin dalla più tenera età, di acuire in loro curiosità e osservazione del mondo che li circonda.
Ma mentre io mi limito a incontrare i ragazzi nelle scuole, Maria Rosa da anni si spende nella
faticosa organizzazione di spettacoli teatrali che porta in città e paesi del Piemonte, cercando di
raggiungere il più vasto pubblico possibile. Ho avuto modo di partecipare ad alcune dei suoi
incontri e mi ha sempre colpita la sua riservatezza, quasi non fosse stata lei a lavorare per la
realizzazione dell'evento. La ricerca costante e la valorizzazione di giovani compagnie teatrali
anche straniere e la scelta dei testi, richiede certamente grande impegno e capacità critica, che
vengono ricompensate solo dalla soddisfazione di vedere piccoli spettatori attenti e 'rapiti'
applaudire e fare dalle domande a fine spettacolo.
Ma Maria Rosa Menzio non si limita ad organizzare, insegna e scrive pregevoli testi teatrali e libri
per ragazzi, impresa oggi più che mai difficile dovendo 'combattere' contro videogiochi e tutto ciò
che attira i nostri ragazzi galvanizzati da cellulari e computer. L'amore per il teatro, per la cultura e
per le scienze fanno sì che anche nei momenti più difficili, Maria Rosa Menzio non demorda dal
presentare un nutrito cartellone di spettacoli che parlano di scienza.
In questo libro, l'autrice si discosta dal tema scientifico, per immergersi in un 'mondo di sotto' in
cui vigono regole opposte a quelle del 'mondo di sopra', nell'intento di far capire che le regole su
cui fondiamo la nostra vita possono essere ribaltate producendone altre altrettanto valide e sensate,
che partono da presupposti diversi per raggiungere fini non solo condivisibili, ma forse più giusti e
migliori di quelli comunemente accettati. La scienza d'altronde per progredire deve essere
affiancata dall'immagina-zione e dalla capacità di osservare da angolazioni diverse problemi che
sono ancora ben lungi dall'essere stati 'completamente' capiti. Con questo obiettivo, Maria Rosa
Menzio si rivolge ai ragazzi con questo piacevole racconto.
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Copertina
Immagini di Luciana Penna
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** Maria Rosa Menzio, RUBINA NEGLI ABISSI, Edizioni La Rondine, Catanzaro 2021, € 9,90
con illustrazioni di Luciana Penna
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Il Signor Le Blanc
Dalla Prefazione di Franco Pastrone (UniTo)
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"On raconte qu' Archimède insensible au bruit occasionne
par un pareil événement, se livroit à son étude favorite,
lorsqu'un soldat Roman entra dans son appartement.
Marcellus pénétré d'estime pour cet homme
extraordinaire, avoit commandé qu'on l'épargnat. Mais ces
ordres furent mal exécuts: éet soit que l'infortuné
inathématicien, trop occupé dans sa méditation, eut lassé
la patience du soldat (...) il fut tué,
et ne survécut pas à sa patrie."
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Nell'estate del 1789 una ragazza di tredici anni, Sophie Germain, leggeva queste parole.
Per la giovane Sophie, già attratta verso la matematica dalla conoscenza di un manuale didattico di Bezout,
questa lettura fu una rivelazione. Si può capire come una ragazza timida, piuttosto chiusa e conscia delle
proprie capacità intellettuali, frastornata dalle accese discussioni riguardanti soldi, politica, rivoluzione,
guerra, trovasse un rifugio quieto nella biblioteca del padre e potesse cercare negli studi matematici una
nicchia sicura dove vivere distaccata e immune dalla confusione della realtà dei tempi e dagli eventi terrificanti
che andavano accadendo attorno a lei. Non solo, ma nell'episodio della morte di Archimede vedeva un fatto di
drammatica attualità e nel matematico un eroe che consacrava la vita alla sua scienza, superiore intellettualmente
e umanamente al mondo violento circostante. (...)
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(...) Con la tremenda solennità che una adolescente appassionata può
infondere nelle sue intenzioni, prese la ferma risoluzione di consacrare la sua vita a
"une science qui peut porter à un tel point d'héroísme".
L'ambiente famigliare, e in generale il mondo in cui Sophie era cresciuta, tutto imbevuto
di cultura illuminista, aveva certo contribuito a formare in lei il gusto per il rigore intellettuale,
l'amore per il linguaggio limpido ed essenziale, il facile infiammarsi in nome della ragione e della razionalità.
Sophie sposò la matematica e la scienza, rimase a carico del padre fino alla morte dello stesso nel 1821,
cui sopravvisse per dieci anni.
La determinazione e l'ostinazione, tipici del suo carattere, consentirono però a Sophie di aver ragione delle resistenze paterne,
impara il latino per proprio conto, al fine di potere accedere agli scritti di Newton ed Euler.
Non si può non paragonare il suo caso a quello di Maria Gaetana Agnesi, che pochi anni prima in Lombardia,
a metà secolo, aveva goduto dell'appoggio della famiglia nello sviluppare i suoi interessi scientifici,
ed era diventata, nel 1750 a Bologna, il primo professore universitario di matematica di genere femminile della storia.
In realtà riuscì a prendere contatto con la scuola e a seguire indirettamente le lezioni di chimica e di
analisi (queste ultime tenute da J. L. Lagrange) facendo ricorso ad un espediente che ce ne conferma la
determinazione, una forma di spregiudicatezza insospettabile in una ragazza del suo tempo, così timida e chiusa.
Fatta amicizia con uno studente dell'Ecole, Antoine Anguste Le Blanc, riusciva ad ottenere da lui gli appunti dei corsi,
specie di quello di Lagrange, e presa da grande interesse, a far pervenire al grande matematico le sue osservazioni
sul corso, come se fossero di Le Blanc.
Dunque nulla sappiamo dei primi incontri con Lagrange, ma in breve tempo Sophie viene introdotta nel mondo
dei matematici parigini, la fama di questa giovane "geometra" si diffonde e presto scienziati di grande rilievo
la frequenteranno e "le loro conversazioni forniscono nutrimento alla sua mente".
Il suo salotto divenne presto centro di incontri e di conversazione per i maggiori matematici dell'epoca:
i suoi interessi culturali erano molto ampi, conte attestano le sue letture, che vanno da Goethe a Lamark,
dalla poesia alla biologia.
Ma in una società aristocratica e in una società borghese, una donna benestante con un interesse attivo per la
ricerca scientifica veniva considerata una curiosità da salotto, degna di venire citata in poemi, ma non su di un piano di parità.
Pur avendo ottenuto un risultato notevole in teoria dei numeri, relativamente al ben noto teorema di Fermat,
condotto ricerche di buon livello in teoria delle membrane vibranti, fino ad ottenere, dopo molte vicissitudini,
il premio dell'Accademia delle Scienze di Francia, non poté mai diventare membro di tale Accademia, in quanto donna.
Volle estendere la propria concezione (di cultura e scienza in una visione unitaria, come dimostra il suo trattato
postumo "Considerations genéral sur l'etat des sciences et lettres", elogiato da A. Comte, dove cercava di affermare
l'unitarietà di quelle che in tempi recenti verranno chiamate le due culture.
Ma il generale attuale, il francese Pernety, era amico della famiglia Germain e, grazie all'intercessione
sollecita di Sophie, Gauss non dovette subire alcuna molestia, anzi volendo egli ringraziare chi gli aveva
procurato tali riguardi, scoprì con ovvio stupore che si trattava di una giovane dotata di talento matematico
a lui già nota epistolarmente sotto il nome maschile di Le Blanc, come già riportato in precedenza. Toccato
sia dalla premuta che dalla rivelazione, Gauss scrisse subito alla sua "salvatrice" una lettera affettuosa,
con incoraggiamenti sui suoi studi e suggerimenti sulla teoria dei numeri, introducendola così al famoso
ultimo teorema di Fermat, nel cui ambito ottenne, insieme con il rispetto di Gauss, i suoi risultati migliori
e un posto onorevole nella storia di questo teorema.
Nel 1831 Gauss, nonostante le apparenti freddezze del passato, le fa avere il titolo onorario a Gottingen,
ma ormai è tardi: il 27 giugno sopravviene la morte, invocata nella lettera ultima.
Nel certificato di morte verrà qualificata come "rentier".
** Maria Rosa Menzio, IL SIGNOR LE BLANC, Edizioni Scienza Express, Trieste 2020, € 10,00
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The Secrets of Soviet Cosmonauts
Questo libro getta nuova luce su una storia incredibile, solo parzialmente conosciuta in Occidente:
La cosmonautica russa e i suoi spettacolari risultati. Da Laika, il cane cosmonauta, a Yuri Gagarin,
il primo uomo nello spazio, a Valentina Tereshkova, la prima donna nello spazio, alla prima passeggiata
spaziale, i sovietici hanno fissato molti obiettivi che hanno poi raggiunto.
Ma dietro queste notizie da prima pagina ci sono ombre, situazioni / incidenti che comportano perdite umane,
alcune delle quali sono note, altre solo vociferate. Restano ancora delle domande, come ad esempio:
- Che cos'era la "bara volante"? - Quali segreti sono ancora nascosti negli archivi russi, nonostante
due cicli di declassificazione? - Perché Marina Popovich ("Madame Mig") non è diventata cosmonauta?
- Quali problemi hanno reso necessario filmare il ritorno di Valentina Tereshkova?
- Quali ipotesi (scientifiche) esistono sulla misteriosa scomparsa di Gagarin?
L'autrice affronta tutte queste questioni, con l'aiuto dei documenti ora disponibili.
Il libro è destinato a un vasto pubblico, dai profani interessati agli studenti laureati e universitari,
fino a coloro che amano semplicemente le belle storie di storia.)
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Dalla Prefazione di Attilio Ferrari (Professore Emerito di Astrofisica Università di Torino)
In the five chapters in which it is divided, Maria Rosa Menzio's book retraces the milestones of the space conquest,
from the second half of the '50s, when the first artificial satellite was launched, up to our days with the
International Space Station.
The story is fascinating both for those who lived those years and for those who want to know how things went and,
perhaps, remove some doubts. Therefore we discover the fundamental figures: Krushev, Kamanin, Korolev.
In the Soviet Union of the time they contributed to what was a sort of further "cold war" (still against the USA)
fought to the sound of victories. Unfortunately they missed the final one, the conquest of the Moon!
It is sad to know the end of the dog Laika, whose fate was already marked in the organization of the mission.
It is also sad to know the details of the death, at only 34 years old, of Yuri Gagarin, the first man in space,
one of the Russian national heroes. There are still unconfirmed details about how things went. It remains a mystery
the cause of the sudden nosedive to the ground of the MIG-15UTI piloted by Gagarin together with Vladimir Serjogin,
an expert test pilot. All this more than 40 years after the facts, and even after the declassification of numerous
documents, which took place in part after the dissolution of the USSR and, more recently, even with the consent of
President Vladimir Putin.
With a dry but effective prose, Maria Rosa Menzio reports testimonies and accounts from different sources.
In some cases these take their cue from the enormous amount of documents that have come to light many years
after the facts, unfortunately for history but to the benefit of the reader. There are for example the stories
of Valentin Bondarenko and Grigory Neljubov, both promising Soviet cosmonautics, who were part of the small group
of pilots selected with Gagarin for the first flight into space. For different reasons the Soviet regime preferred
to cancel even their existence. But there are also interesting technical-scientific curiosities about the various
cosmodromes and the reason why launches still take place from Baikonur, located in Kazakistan, to which Russia pays
a substantial annual rent.
As a woman, Maria Rosa Menzio focuses on the figure of Valentina Tereshkova and on the reasons why she was
chosen for the first "female" mission. Other candidates seemed to have superior characteristics, knowledge and
preparation: among those excluded without apparent valid reasons, the case of Marina Popovich, known as "Madame MIG",
is interesting. Of all the selected candidates, their exploits are described and their strengths and weaknesses are
revealed. The 70 hours and 50 minutes spent by Valentina Tereshkova inside Vostok 5 are analyzed both for what
was known at the time and for what was discovered later.
It is curious the reconstruction, perhaps of fantasy, of the meeting between Nikolaj Kamanin,
responsible for the training of Soviet cosmonauts, and John Glenn, the first American to orbit the Earth with
the Mercury 6 capsule: during a barbecue organized in the garden of Glenn's house, Kamanin had the feeling that
the Americans were about to launch a woman into space. Back in Moscow, the man convinced Kruscev to speed up
the female program: the candidates were already there and it was only necessary to intensify the training and
establish a plan that would lead to the launch of a woman in the shortest possible time, to beat the U.S..
Result: Valentina Tereshkova flew on June 16, 1963 while Sally Ride, the first American to reach space,
did so on June 18, 1983: 20 years later!
But in between there was the conquest of the Moon and this is another story that, in the book of Maria Rosa Menzio,
is colored with interest, at least for the general public. She makes known the tragicomic Soviet attempt to land
on the Moon, a few minutes before the Americans, at least one automatic probe, potentially able to collect soil
samples and return unscathed to Earth.
Moreover, the author - as the mathematician she is - uses an iron logic to tell the "Moon landing deniers"
how only the USSR could have valid elements to disprove the USA but, if they didn't...
Speaking of more recent times, we discover the undisputed technical characteristics of the Soviet shuttle,
almost a carbon copy of the US Shuttle, called Buran. This one flew unmanned (and returned) only once,
and then "rotted" in remote hangars of the immense Baikonur cosmodrome, after having been, however, shown
to the world in 1989 at the Paris-Le Bourget International Aeronautics and Space Show, reached on the back
of a huge Antonov An-225 Mriya.
Of course in a book titled "The Secrets of the Soviet Cosmonauts" could not miss news, curiosities and
even inferences about what are known as the "Nedelin Catastrophe" and the "Plasetsk Cosmodrome Tragedy",
as well as the topic of cosmonauts lost in space could not be left out: those who were perhaps sent into
space unsuccessfully before Yuri Gagarin. On the other hand, securing new capsules for humans was always
many steps behind the will of politicians. Maria Rosa Menzio tells us how Gagarin himself had opposed the
launch of what was rightly called the "flying coffin", the Soyuz 1 (two hundred and three documented
construction defects), on board which his friend Komarov died.
Finally, we talk about the ISS and the fruits of collaboration between Russia and the USA, including
the entire West. In this regard, it is so hard to grasp how the world has changed from the time the
book was conceived and written to the time it appears in its editorial guise. Is the future of the ISS
and what it has represented for years really compromised?
Prof. Attilio Ferrari (April 2022)
** Maria Rosa Menzio, THE SECRETS OF SOVIET COSMONAUTS, Springer Verlag International
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Il Doppio e l'Alchimista
Storie di hybris
Conosciamo una donna, Vita, che non sa nulla dei meccanismi della mutua e
della pensione, che dice di non avere tempo e di essere a scadenza. Perché?
Incontriamo un uomo, Johann Friedrich Böttger, alchimista mancato, che nel
Settecento scoprì la formula della porcellana dura, gelosamente custodita dai
cinesi.
Che cos’hanno in comune questi due personaggi?
Li accomuna l’ascesa, la ribellione e in ultimo la caduta.
Ed è proprio il crollo dopo la rivolta che ce li rende vicini e ci commuove,
perché in fondo ognuno di noi è Vita, ognuno di noi è Johann.
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Dalla Prefazione di Vittorio Marchis (Docente Ordinario Politecnico di Torino)
Per chi nasce ingegnere e poi traghetta nel mondo della storia della scienza senza
dimenticare l’immediatezza dei messaggi visivi è difficile districarsi nei meandri di un
testo che non è solo teatrale, ma oserei dire psico-analitico. Psicoanalitico non nel
senso riferito a una persona, bensì alla stessa scienza. Perché anche la Scienza, e qui
la chiamo con la esse maiuscola, ha un Es e un Inconscio, che si propaga nel tempo e
nello spazio e si confonde nel magma delle donne e degli uomini che la popolano, la
costruiscono e distruggono. Come primo approccio all’arduo lavoro che mi accingo a
compiere penso che Il libro dell’Es di Geor Groddeck sia un buon viatico, anche e
soprattutto perché il sottotitolo di questo saggio, Lettere di psicoanalisi a un’amica,
potrebbe essere adatto anche a quello che mi accingo a fare.
E’ ben noto che le introduzioni non si leggono, o al più si curiosano alla fine della
lettura del libro, o quando si è stimolati dalle pagine di qualche commentatore o
critico. Con questo spirito mi accingo a incontrare i personaggi di queste pagine, che
ritengo, senza anticipare nulla della trama, sia necessario presentare. Il soldato, il
narratore e Vita (ma poi si scoprirà che il suo nome è Evita). Nomen omen, si diceva
un tempo e proprio la vita (questa qui sì con la V minuscola) è al centro di una
intricata vicenda di ricordi e di sogni, che si ingarbugliano sempre più. Se colei che
ha scritto queste pagine è nata nel tempio del rigore e della razionalità cartesiana,
qui di certo si dà sfoggio delle esplorazioni più ardue dei domini di una scienza
sempre in conflitto con se stessa, sempre ossessionata di gli ostacoli insormontabili
imposti da quel maledetto imbroglio che i fisici chiamano entropia. Perché è proprio
l’Entropia, la dea malvagia che impedisce alla materia più vile di trasformarsi in oro e
alla vita di essere senza una fine. Non confondiamoci, si è usato il femminile e non il
maschile, perché forse il fine della vita è ciò che si vuole cercare in queste pagine,
dove la fantasia si amalgama e si contamina di realtà. Ci sarà forse qualche nesso tra
Evita e l’Eva della tradizione biblica? E il soldato che ci fa? Lui minaccia e grida,
sembra il lato razionale di un inconscio che stenta a manifestarsi, mentre il
Narratore – a dir il vero sembra davvero il doppio di Vita – alle volte
didascalicamente si dilunga nelle sue elucubrazioni che vorrebbero trovare un
supporto in Vita. Se fossi uno psicanalista direi che Vita soffre di un disturbo
bipolare, proprio come lo soffre la Scienza che di sottecchi sorride, come una Sfinge
dietro le quinte. Le quinte si, in una pièce teatrale ci devono essere perché sono la
struttura di ogni rappresentazione ma qui come in ogni struttura conoscitiva, o
mentale, non si vedono. E’ giusto così. A questo punto spiegare la trama e
soprattutto il significato dell’atto unico Vita a giudizio sarebbe un errore, ma
inviterei in futuro lettore a prendere in considerazione ciò che questi personaggi,
queste personae, nel vero significato classico del termine di “maschere” ci vogliono
comunicare. E qui ricordo che anche in ciascuno di noi esiste un lato che forse
vorrebbe diventare persona. D’altra parte, in questo gioco a rimpiattino tra esseri
viventi e persone immaginarie dovrebbe esserci uno spazio anche per i cloni che
perpetuerebbero nel tempo l’ancestrale desiderio di immortalità.
Poi, dopo la fine di una Vita a giudizio, si fa un salto nel passato inseguendo prima
alcune storie di alchimia per approdare all’atto unico L’Oro Bianco di Dresda, che qui
viene riproposto dopo stato premiato nel 2014 con la medaglia del Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano.
Scoprire che l’Alchimia, anche oggi tutti impiastricciati come siamo di intelligenze
artificiali, può diventare un nuovo specchio in cui riflettere tutte le più umane
aspirazioni è una scoperta interessante. Non si tratta qui di leggere questa seconda
pièce con gli occhi dello storico curioso, ma piuttosto ancora una vota di ricordare la
psicoanalisi. Ora sul lettino di Freud, o di un qualche suo successore, ci sta Johan
Fredrich Böttger, l’alchimista che insegue un sogno. Ma che ruolo hanno Bianca e la
Maga di Dresda? E se da un lato l’auri sacra fames incombe potente, la seduzione
del sesso subdolamente invade il proscenio… e lascio qui ogni ulteriore commento.
Magia bianca e magia nera, opere a nero, al rosso e al bianco, sono termini che la
scienza più pura rifugge e ripudia, ma sarà poi vero?
Prof. Vittorio Marchis (Marzo 2024)
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Dalla Postfazione di Annalisa Panati (Ricercatrice al Centro di Fisica Teorica di Marsiglia e Docente all'Università di Tolone)
Trasformare.
Uno degli scopi verso cui, da quando abbiamo memoria, l’umanità ha indirizzato le sue energie
creative è la trasformazione delle risorse a disposizione per il miglioramento della propria
condizione.
Trasformare le pelli in vestiti, cibi freschi in alimenti che durano nel tempo, il legno in calore, le
erbe in medicinali, e via dicendo, in modi via via sempre più sofisticati e complessi.
Il desiderio di trasformare, di migliorare, si è canalizzato in due direzioni: la più ovvia, verso
l’esterno, verso la trasformazione di oggetti, creazione di tecnologie sempre più avanzate che
migliorino le nostre vite. La seconda, verso l’interno, la trasformazione di se stessi. Possiamo
trasformare la nostra fragile corporeità e affrancarci dalle debolezze e malattie, e, perché no,
affrancarci dalla stessa nostra mortalità? Possiamo trascendere la nostra condizione di impurezza
per elevarci ad uno stato più nobile dell’esistenza?
In gran parte della storia del sapere, le due dimensioni non erano affatto separate.
Prima dell’avvento della moderna chimica, l’alchimia trattava contemporaneamente il piano
materiale e spirituale, come ricorda l’autrice nell’Intermezzo. Le ricette alchemiche sono allo stesso
tempo formule chimiche e metafora della trasformazione interiore del cammino verso la
purificazione dello spirito. Fatichiamo oggi a comprendere questo modo di pensare; siamo ormai abituati a separare la
metafore e simbologie dalla materialità, a relegarle al mondo dell'arte, in storie che non hanno
pretesa di essere vere o verosimili, o relegarle a parti della psicologia. Carl Gustav Jung, in
particolare, ha cercato di tradurre il linguaggio alchemico in termini psicologici moderni.
Maria Rosa Menzio declina, nei testi proposti, aspetti di una tematica tipicamente alchemica: la
ricerca dell’immortalità. Quale prezzo siamo disposti a pagare? Dove il limite tra ciò che è lecito e non è
lecito fare per ottenerla? Qual è il limite che, se varcato, può portare solo alla creazione di mostruosità?
In un certo senso, questa domanda non si poneva nell’antica alchimia, perché erano unite la
trasformazione fisica e quella spirituale. Chi raggiunge l’immortalità raggiunge anche una
conoscenza filosofica superiore, chi sa trasformare il piombo in oro, sa anche raggiungere la
purezza dell’anima. “La ricetta dell'immortalità” contenuta nel grande papiro magico di Parigi
del IV secolo d.C. è un viaggio iniziatico che culmina nella rivelazione del supremo dio oracolare.
Non si può parlare di un vero prezzo da pagare: solo la rinuncia alle parti di sé che impediscono
l'ascesa, parti di cui comunque vale la pena liberarsi. In ogni caso una rinuncia che coinvolge solo
l'alchimista stesso, senza danno per altri.
Quando le due dimensioni si separano, quando il segreto dell’immortalità può diventare
appannaggio dell'animo impuro, ecco che l’inquietudine, la domanda del limite, ecco che la paura
di mondi distopici e di una scienza che porta a gravi crudeltà dell’uomo sull’uomo emerge nella
nostra coscienza collettiva.
Una lunga tradizione di letteratura fantascientifica, a partire dall’opera capostipite di Mary Shelly
“Frankenstein”, attraverso Aldous Huxley, Asimov, fino a recentissime serie TV come Black
Mirror, ha esplorato questi scenari, via via che il progresso scientifico li ha aperti nella nostra
immaginazione. Domande nuove, paure nuove, dilemmi nuovi emergono ogni volta che il progresso
ci permette di varcare limiti nuovi.
Maria Rosa Menzio, nel primo testo, Il Doppio, si inserisce in questa tradizione, forte della sua
formazione scientifica e della sua sensibilità teatrale, esplorando le conseguenze di una tecnologia
che abbiamo paura anche solo a pronunciare: la clonazione umana.
Dov'è il limite tra essere umano e non umano? Che diritto di prendere una vita? Anche se frutto di
manipolazioni in laboratorio? È un testo forte, che ci lascia pieni di dubbi e purtroppo amarezza:
risuona con molti scenari di sfruttamento che già sono accaduti o ancora avvengono - schiavismo o
forme equivalenti di sfruttamento, commerci illegali di organi-; vederle rappresentate nell’opera di
Maria Rosa nella sua forma estrema, ce ne fa prendere dolorosa coscienza.
Nella seconda opera, leggiamo di nuovo di alchimia, questa volta nel senso opposto: il sogno
dell’immortalità non si può raggiungere, è una chimera, un mito, una favola, la pietra filosofale è un
imbroglio, non si può trasformare il piombo in oro, come non si può trasformare l’essere umano
egoista e meschino, avido di oro materiale ma insensibile all’oro spirituale, nell'uomo nuovo.
Ecco dunque il personaggio dell’Alchimista, ispirato a Johann Friedrich Böttger. In quest’opera
teatrale, come nell’alchimia, realtà storica e metafora si sovrappongono, si complementano una con
l’altra. Böttger non riesce a ottenere la pietra filosofale, che trasforma l’essere umano da gretto e
meschino, a nobile e puro. Non riesce a lasciare questo mondo imperfetto, che lo tiene letteralmente
prigioniero per avidità.
Böttger è imperfetto: millanta, inganna, non sa accorgersi di essere ingannato. Il mondo in cui vive
è crudele, lo imprigiona per ottenere da lui prima il segreto della pietra filosofale, poi lo sfrutta per
le sue competenze chimiche.
Cosa resta, nel mondo reale, della nobile ricerca della pietra filosofale? Dell'impossibile
trasformazione esteriore ed interiore? Di queste vite votate ad uno scopo impossibile da
raggiungere?
Böttger scopre la formula di un altro oro: l'Oro Bianco di Dresda, la porcellana, segreto fino ad
allora custodito dai cinesi.
Viene fondata allora la Real Fabbrica di Porcellana di Meissen, che produsse porcellane raffinate e
richiestissime dall'aristocrazia, portò prosperità alla regione ed è ancora oggi un marchio rinomato.
L'autrice stessa di questa postfazione, scopre, tra il perplesso e divertito, che il servizio di piatti
elegante dei suoi genitori è una riproduzione della famosa serie con decoro “a cipolla”, disegnato
dalla Real Fabbrica nel Settecento.
Prof.ssa Annalisa Panati (Marzo 2024)
** Maria Rosa Menzio, IL DOPPIO E L'ALCHIMISTA, Edizioni Scienza Express, Trieste 2024, € 12,00
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